Ho iniziato a praticare arti marziali, nello specifico l’Aikido, da quando avevo quindici anni e ora ne ho quasi quaranta.
Potrei dire che l’arte marziale mi ha “salvato la vita” aiutandomi ad attraversare un periodo particolarmente doloroso, confuso e difficile come quello dell’adolescenza che sappiamo essere un tumulto emotivo parecchio complesso.
Il bullismo che subivo, la sfiducia di me e la vergogna, tutte le paure e le insicurezze… Ma grazie all’Aikido ho trovato un gruppo di amici, ho acquisito fiducia in me stesso, ho conosciuto il mio primo amore e tanto altro ancora.
Ho iniziato ad insegnarlo e approfondirlo a circa vent’anni e a nutrire i primi seri dubbi sul senso e sulla finalità di ciò che stavo facendo e trasmettendo.
In qualche modo ho sentito il bisogno di approfondire approcciandomi seriamente alla filosofia orientale, in particolare taoismo e zen, ed iniziando anche a studiare altri stili, pratiche corporee e discipline marziali.
Questa passione bruciante mi portò molto presto a nutrire tantissimi dubbi sui metodi, le strutture gerarchiche e le didattiche proposte nella maggior parte dei casi. Confrontandomi con altre realtà marziali mi resi conto che se si vuole evolvere bisogna uscire dalla propria zona di sicurezza, e questo comportava prese di coscienza anche difficili da affrontare se non supportate da un lavoro interiore che le sostenga.
Molto presto iniziai a sentirmi isolato con il mio gruppo di allievi senza una vera e propria guida che mi soddisfacesse appieno (ho girato e praticato con molti maestri), e da questa solitudine emerse la comprensione che il corpo non aveva bisogno di essere appesantito con tutte queste teorie, tecniche, forme, nomi, kata…
Nella mia natura c’è sempre stato il bisogno di rompere gli schemi, andare oltre, riformulare in modo creativo anche a costo di crearmi ‘nemici’ sganciandomi da certi modelli preimpostati.
Ma questa presa di coscienza emerse lentamente quando iniziai ad acquisire fiducia in me e non come banale desiderio di ribellione fine a sé stesso.
Iniziai a comprendere l’Aikido, paradossalmente, uscendo dall’Aikido. Quando cominciai a studiare Tai Chi, Systema, e altre discipline corporee anche non specificatamente marziali, iniziai a comprendere quanto vasto fosse il mondo del corpo e quanto non poteva essere contenuto in uno stile, modello, struttura o tradizione specifica.
Nel momento in cui la mia passione per le arti marziali e l’insegnamento iniziò ad entrare davvero in crisi (che durò circa dieci anni se non di più) conobbi Ermanno Calvano, amico, artista marziale e una nuova ispirazione anche nel mondo spirituale.
Ebbi l’ulteriore conferma che l’arte marziale non può separarsi dalla spiritualità e dallo stile di vita, ed in questo Ermanno rappresenta per me un esempio di integrità e sincerità. Anche lui pur avendo un percorso simile al mio, si sganciò dal Karate diversi anni prima fondando lo JaDo, che significa ‘la via del serpente’.
Rimasi affascinato da questo modo di intendere l’arte marziale che si avvicinava fortemente a quello che avevo sempre intuito e praticato, e così finalmente decisi che era arrivato il momento di dare una svolta al mio percorso.
Da anni mi resi conto che lo studio più schematico delle tecniche, forme e kata non faceva per me e lo trovavo noioso, spesso inutilmente lungo e neanche così utile come spesso si vuole far credere.
Quando si entra in un sistema è come se si entrasse in una nuova religione con i suoi dogmi, regole, gerarchie, ecc. Tutto questo può avere il suo valore ma semplicemente non fa più per me.
Lo JaDo è una ricerca costante e in continua evoluzione che si basa su movimenti ad onda usando la forza interna del corpo (qi, in giapponese ki 氣) portandoli ad un livello estremamente pratico, diretto, semplice ed efficace.
Non esistono tecniche predefinite perché si insegnano al corpo quei principi di base – come la stabilità, la rapidità, movimento della forza interna – che rappresentano il cuore dello JaDo.
Inoltre una caratteristica essenziale è la liberazione dell’energia risvegliando l’animalità che è già presente in noi ma è sommersa da condizionamenti e sovrastrutture di ogni genere. Per questa ragione nella mia visione didattica e di preparazione atletica personale, l’allenamento funzionale conosciuto anche come animalflow lo ritengo parte dello JaDo.
Nelle arti marziali tradizionali viene condizionato il corpo e la mente come naturale processo di apprendimento, ma il prezzo da pagare è la perdita di spontaneità e una conseguente difficoltà di liberarsi da quelle strutture rigide. Il risultato è l’incontrare enormi difficoltà nel gestire situazioni non preordinate e controllabili secondo i modelli standard.
Va a finire che ogni arte marziale parlerà solo la sua lingua – o peggio il suo dialetto creando infiniti stili all’interno della stessa – e non comunicherà più con le altre quando, in verità, il corpo è sempre uno. La mente si troverà così appesantita da movimenti memorizzati e non permetterà al corpo di reagire in modo rapido, appropriato, efficace, chiaro, potente, decisivo, e soprattutto libero!
Inoltre lo JaDo pone grande attenzione alla preparazione e potenziamento fisico (corpo libero e uso delle Kettlebell o mazze pesanti) come componente fondamentale, in modo da mantenere in salute il corpo e accedere ad aspetti più sottili e profondi della pratica.